sabato 22 dicembre 2012

domenica 4 novembre 2012

Choosy or not choosy?


di Danilo Raponi

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La Fornero invita i giovani a non essere choosy. Infuria il dibattito. Importanti economisti americani consigliano invece di essere choosy. Noi proviamo a ragionarci su.
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Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Fornero, a margine di un convegno di Assolombarda del 22 ottobre 2012, invita i giovani a non essere troppo “schizzinosi” nella ricerca del primo posto di lavoro: “Non bisogna mai essere toppo choosy – dice – meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale”. Nel peggiore stile italico, si scatena un putiferio tra veementi detrattori e impetuosi sostenitori delle parole della Fornero. Quest’articolo, invece, vuole costituire una serena riflessione sull’opportunità o meno di “essere choosy”, prendendo spunto da recenti studi di economisti americani sull’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Un’avvertenza importante in un paese in cui tutti, prima o poi, si spacciano per economisti: chi scrive non è un economista, ma quest’articolo passerà in rassegna idee diverse e concorrenti di alcuni economisti americani che ci saranno di ausilio per giungere a conclusioni di carattere politico.
            
           Prima di addentrarci nel vivo dell’articolo, c’è però bisogno di un chiarimento: cosa significa choosy? Choosy è una parola inglese molto informale e poco felice, che non andrebbe tanto tradotta con “schizzinoso”, come fatto dalla maggior parte dei giornalisti italiani, quanto piuttosto con “esigente”. Orbene, la dialettica choosy or not choosy applicata al mercato del lavoro è solo un vaniloquio da bar, oppure c’è qualcosa di più? C’è molto di più, come andremo a scoprire. Al riguardo ci sono, difatti, due campi contrapposti di studi empirici e teorie economiche.

Raj Chetty, segnalato dall’Economist nel 2008 come uno degli otto economisti più promettenti al mondo, è una persona molto choosy. Nel 2008, a soli 29 anni, si dimise da una cattedra di economia all’Università della California, Berkeley, per poi invece accettare un posizione da professore ordinario a Harvard. Più choosy di così non si può. In uno straordinario esempio di coerenza intellettuale, mise pienamente in pratica la sua teoria sul mercato del lavoro. Chetty è difatti un convinto sostenitore dell’opportunità di espandere i sussidi alla disoccupazione, perché così facendo si dà più tempo a chi cerca lavoro di trovarne uno consono ai suoi obiettivi, interessi, e competenze. Com’è arrivato a queste conclusioni?

Ha ritenuto superfluo costruire complicati modelli econometrici per i quali avrebbe dovuto specificare quale sia il valore di un euro per una persona senza lavoro a confronto di una pienamente occupata. Avrebbe inoltre dovuto quantificare, con grandi difficoltà, l’onere, il fardello richiesto dall’attività di ricerca di un lavoro.  Niente di tutto ciò. Chetty ha semplicemente osservato quanto tempo si impiega a trovare lavoro. Non sorprende che chi gode di sussidi di disoccupazione più generosi adoperi più tempo. Tale comportamento è solitamente attribuito al fenomeno noto come “azzardo morale”: chi è assicurato contro un rischio, in questo caso la disoccupazione, se ne preoccupa di meno di chi non è assicurato. Ma Chetty dimostra che in realtà ciò spiega soltanto una parte di questo ritardo temporale. Il resto è spiegato invece da ciò che lui definisce “liquidity effect”: i disoccupati solitamente hanno a disposizione poca liquidità, contanti o altri beni facilmente fruibili, e altrettanto poche chance di ottenere un prestito in banca. Dunque si affrettano il più possibile a trovare lavoro e spesso scelgono il primo che viene loro offerto, senza un minimo di deliberazione sull’opportunità della scelta e le sue possibile conseguenze. Se avessero potuto, invece, accedere più facilmente a forme di credito, oppure se avessero disposto di maggior liquidità, avrebbero potuto riflettere maggiormente sulla loro scelta professionale.

Questa maggiore deliberazione, dunque questa presa di tempo, è per Chetty un fattore molto positivo. Permette a chiunque cerchi lavoro di pensare in maggior misura a cosa vorrebbe fare, cosa si sente portato a fare bene, come potrebbe meglio contribuire ad una mansione piuttosto che un’altra. Le conseguenze di tale comportamento, cioè dell’essere choosy, secondo Chetty sono soltanto positive. Chi sceglie un lavoro consono alle proprie esigenze e gusti sarà più produttivo e più industrioso, a vantaggio dunque di tutta la comunità, che verrebbe ampiamente ripagata dei costi sostenuti per i sussidi alla disoccupazione. Chetty calcola che, negli Stati Uniti, anche solo con un aumento di 1 dollaro a settimana per sussidio di disoccupazione si produrrebbero effetti positivi per l’economia come se il PIL aumentasse di 290 milioni di dollari. Gli studi di Chetty dimostrano, dunque, che i benefici dei sussidi alla disoccupazione sono di gran lunga maggiori dei costi derivanti dal disincentivo che offrono alla ricerca di un lavoro in tempi brevi. Inoltre, i benefici dei sussidi sono perfino maggiori in questa face di recessione, a causa delle difficoltà di accesso al mercato del lavoro e delle difficoltà di accesso al credito che precludono ancora di più i disoccupati dall’ottenere liquidità. In base a tutto ciò, Chetty è dunque un convinto sostenitore di politiche del lavoro che introducano e fortifichino i sussidi alla disoccupazione, o, per ricollegarci al dibattito Fornero, è un proponente della “choosy economics”.

Naturalmente, non tutto il mondo accademico, e ancora meno quello politico, è d’accordo con le conclusioni di Raj Chetty. Gli stessi studi di Chetty, in realtà, erano stati inizialmente formulati come risposta ad una serie di articoli degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso in cui alcuni economisti, tra tutti Lawrence Katz (Harvard) e Bruce Meyer (Chicago), sostenevano che i sussidi alla disoccupazione producono effetti negativi in quanto diminuiscono la necessità di trovare lavoro rapidamente e accrescono l’improduttività dei disoccupati. In una recente audizione alla Camera dei Rappresentanti, però, lo stesso Katz ha ammesso di aver imperniato i suoi studi su assunti parzialmente errati e di aver scoperto col tempo che, invece, chi negli anni ’80 beneficiava maggiormente dei sussidi di disoccupazione erano alcune aziende che attuavano la nefasta pratica dei licenziamenti temporanei. Queste aziende, difatti, licenziavano numeri cospicui di lavoratori per un certo periodo, ben sapendo che i neo-disoccupati avrebbero usufruito di sussidi alla disoccupazione, per poi riassumerli appena prima della scadenza di tali sussidi, sfruttando così alcuni mesi di ridotti costi del lavoro. Siccome l’inumanità e l’immoralità di tali pratiche le ha rese oggigiorno molto meno comuni, questo aspetto negativo dei sussidi è venuto a mancare, in quanto i lavoratori licenziati non possono più sperare di essere assunti di nuovo dalla stessa azienda, e dunque cercano altri lavori più operosamente. Altri economisti, come David Card (Berkeley), che ha lavorato con Chetty, e Till von Wachter (California, Los Angeles), che ha eretto la sua analisi su eccellenti statistiche tedesche, riconoscono che i benefici dell’essere choosy sono più degli svantaggi che questo comporta.

Insomma, il mondo accademico americano sembra quasi univoco nel celebrare le lodi dei sussidi alla disoccupazione. Una voce fuori dal coro è quella di Robert Barro, un altro professore di economia a Harvard, il quale sostiene che l’estensione dei sussidi è quasi sicuramente il principale colpevole dell’alto livello di disoccupazione di cui gli Stati Uniti soffrono. Barro ha stimato, ma molto approssimativamente, che la disoccupazione sarebbe di circa due punti percentuali più bassa di quella che è adesso se non ci fosse più alcun sussidio di disoccupazione. Tranne Barro, tuttavia, il quale inoltre ha ammesso di non aver condotto studi sistematici e accurati come quelli di Chetty, la no-choosy economics sembra essere piuttosto uno dei cavalli di battaglia di una certa parte politica. Si tratta del Partito Repubblicano, che negli ultimi anni è stato fortemente condizionato dalle idee del movimento Tea Party, che molto spesso si colloca alla destra della politica conservatrice statunitense. Chi scrive non nasconde una certa perplessità per la riproposizione di politiche economiche fondate su minore imposizione fiscale, minori spese pubbliche (con l’eccezione per quelle militari) e minore regolamentazione del settore finanziario. Sono le politiche che hanno governato il mondo occidentale negli ultimi 20 anni, e hanno miseramente fallito. Si stenta a capire come, oggi, possano produrre frutti migliori di quelli maturati nella crisi del 2008.

A ciò è collegata una passione quasi viscerale dei repubblicani americani per la cancellazione di molti degli istituti migliori del welfare. Non solo l’abrogazione immediata della riforma sanitaria voluta da Obama, ma anche una forte diminuzione delle borse di studio federali per l’accesso alla formazione universitaria e l’eliminazione di certi benefici dei programmi sanitari Medicaid e Medicare, oltre alla riduzione del numero di insegnanti: sono questi alcuni dei punti del programma Romney/Ryan che raccolgono maggior consensi nella base repubblicana. I sussidi di disoccupazione, naturalmente, fanno parte del calderone del welfare tanto odiato dai repubblicani, e non c’è dubbio che rappresentanti e senatori di quella parte politica faranno di tutto per dimostrare i gravi svantaggi dei sussidi, ignorando a proposito gli studi di Chetty e dei suoi colleghi. Del resto, per i repubblicani, quasi tutti i professori universitari sono degli snob liberal, quindi perché starli a sentire? Viene voglia di dare ragione Paul Krugman, quando sostiene che i repubblicani di oggi soffrono di un grave “difetto di realtà”.

La conclusione di quest’articolo esulerà da considerazioni puramente economiche nell’affrontare il problema dello choosy or not choosy. Stiamo parlando pur sempre di esseri umani, per di più in gravi situazioni di indigenza e nello stato denigrante della disoccupazione. La scienza economica può fornirci utilissime chiavi di lettura di alcuni problemi sociali, ma non può spiegare tutto. E’ convinzione dell’autore che l’incitazione del ministro Fornero è sbagliata proprio perché prende in considerazione soltanto l’aspetto economico del lavoro. Ma il lavoro non è esclusivamente il mezzo di sostentamento dell’uomo. Lavoro è anche il modo in cui l’uomo si afferma in società, ne diviene parte, è ciò che conferisce dignità a uomini e donne che hanno scelto di dare il loro contributo al contratto sociale. Scelto, per l’appunto. Ogni persona è diversa, ha le sue aspirazioni, i suoi progetti e i suoi sogni. Ma al contempo ogni persona è uguale, perché tutti hanno aspirazioni, progetti e sogni. Compito di chi governa è dare a tutti l’opportunità di perseguirli.

Esortare a non essere choosy non è buona politica, non aiuta a rendere il mercato del lavoro italiano più flessibile e aperto ai giovani. E’ invece un rigurgito della peggiore politica italiana, quella degli ultimi 20 anni. Sappiamo che dal ministro Fornero possiamo aspettarci molto più che uno slogan avventato e irriflessivo. Una società veramente giusta dà a tutti i suoi membri la possibilità di esprimere al meglio i propri talenti. A questo fine, anche qualora fosse provato che i sussidi di disoccupazione siano anti-economici, che distruggano ricchezza invece di crearne, andrebbero in ogni caso promossi. Darebbero comunque ai disoccupati la possibilità di scegliere con cura e attenzione il proprio lavoro. Darebbero loro ciò che è più prezioso: tempo per pensare e riflettere su come si vuole contribuire al bene comune tramite il lavoro. E’ ciò che conta. Non tutto è economia, bellezza.


Bibliografia:
Barro R., ‘The Folly of Subsidizing Unemployment’, The Wall Street Journal, 30 August 2010
Caliendo M., Steffen K. E Uhlendorff A., ‘Marginal Employment, Unemployment Duration and Job Match Quality’, IZA Discussion Paper Series no. 6499, April 2012
Card D., Chetty R., e Weber A., The Spike at Benefit Exhaustion: Leaving the Unemployment System or Starting a New Job?, The American Economic Review, Vol. 97, No. 2 (May, 2007), pp. 113-118
Chetty R., Moral Hazard vs. Liquidity and Optimal Unemployment Insurance, Journal of Political Economy, Vol. 116, No. 2 (April 2008), pp. 173-234
Kgrueger A.B., and Mueller A., Job Search and Unemployment Insurance: New Evidence from Time Use Data, IZA Discussion Paper Series no. 3667, August 2008

Articolo precedentemente pubblicato su www.imille.org (01.11.2012). 

mercoledì 31 ottobre 2012

Terzo Settore, motore della crescita

di Maria Palandrani


La crisi economica e sociale ci impone di rivedere gli attuali modelli di sviluppo economico.

Noi Giovani crediamo che un nuovo sistema di welfare, guidato dal Terzo Settore e che tenga in considerazione anche l’aspetto qualitativo della crescita possa essere la base di un nuovo modello di sviluppo per il Paese.

Il Terzo Settore raggruppa i soggetti di natura privata, espressione della cosiddetta società civile, che agiscono per finalità di utilità sociale e producono beni e servizi destinati alla collettività. Rientrano in questa categoria, economica e sociologica, le associazioni riconosciute e non riconosciute, le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, le fondazioni, le cooperative e le imprese sociali.

Per questo motivo, proponendo uno sviluppo del terzo settore non facciamo riferimento al cosiddetto assistenzialismo statale né ai soggetti che operano per scopo di lucro nel mercato. Noi Giovani ci rivolgiamo a quella realtà distinta, vasta ed eterogenea, assai presente sul nostro territorio e che contribuisce attivamente allo sviluppo economico e sociale ispirandosi ai principi della sussidiarietà e della partecipazione democratica, per un cambiamento sociale che viene dal basso.

Parliamo dei servizi destinati alle categorie più deboli della società, che Noi Giovani crediamo debbano essere maggiormente sostenuti. Specie in questo periodo di crisi economica, in cui emergono problematiche sociali sempre più gravi e il Terzo Settore viene colpito severamente e indistintamente dai provvedimenti di austerità del governo che penalizzano amaramente un compartimento che per i giovani può rappresentare un autentico volano per la crescita, intesa non solo come crescita economica evidenziata dalle variazioni quantitative del prodotto interno lordo.

Il progresso di una società non può essere valutato solo in termini quantitativi ma va apprezzato in termini di benessere sociale.
E il welfare non è un costo superfluo, né una limitazione della crescita economica, ma una condizione indispensabile per lo sviluppo sostenibile del Paese.

Il sistema di welfare attuale va quindi riformato nel senso di prevedere l’intervento dei soggetti pubblici, e della loro spesso pesante, inefficiente e costosa struttura, soltanto in via sussidiaria rispetto a quello dei cittadini e delle organizzazioni riconducibili al Terzo Settore.

In altre parole, lo Stato, a livello centrale e locale, dovrebbe intervenire soltanto quando non sia possibile l’iniziativa e l’intervento diretto dei cittadini, variamente organizzati.

In questo senso, per Noi Giovani il Terzo Settore dovrebbe essere chiamato a sostituirsi all’inefficiente assistenzialismo statale, spesso foriero di sprechi e corruzione.

In quest’ottica, lo Stato deve favorire e non deprimere l’attività del Terzo Settore, riconoscendone il ruolo preminente nella creazione di benessere sociale.
Ed è per questo che Noi Giovani intendiamo promuovere l’adozione urgente di politiche di promozione e valorizzazione del Terzo settore, convinti che sia una risorsa importante per il benessere sociale e lo sviluppo dell’Italia.

lunedì 22 ottobre 2012

Intervista su LSDP a Noi Giovani

Riportiamo sul nostro sito un'intervista appena uscita su Lo Spazio della Politica al nostro presidente Carmelo Dragotta. Buona Lettura!


LSDP. Perché non una lobby giovani?

Per due motivi. Innanzitutto, perché il nostro obiettivo come giovani è di tornare protagonisti della vita politica e istituzionale di questo Paese. Vogliamo riprenderci il nostro posto in Parlamento e nel governo ed essere responsabili in prima persona delle scelte che la crisi sistemica dell’Unione Europea rende necessarie e che disegneranno l’Italia del 2030, cioè quella in cui vivremo noi e i nostri figli. È evidente che l’unico strumento adatto per raggiungere un simile obiettivo è un movimento politico, non certo una lobby. In secondo luogo perché l’azione delle lobby, per definizione, è volta a tutelare interessi particolari, spesso coincidenti addirittura con quelli di singoli committenti piuttosto che di un intero settore economico, mentre noi crediamo che la riscrittura in senso più equilibrato del patto intergenerazionale che lega nonni, padri e nipoti sia nell’interesse dell’intera collettività, e non solo di noi giovani. Non vogliamo creare nuovi squilibri, magari originando un conflitto tra generazioni di cui nessuno sente il bisogno. Vogliamo “solo” correggere l’attuale situazione che vede noi giovani penalizzati su tutti i fronti.


LSDP. Perché secondo voi le associazioni giovanili in Italia finora non hanno funzionato?

In realtà non ci sembra che non abbiano funzionato. Il problema, ancora una volta come per le lobby, è quello degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Oggi in Italia ci sono realtà associative giovanili di assoluto rilievo, pensiamo a Rena o a Italiacamp, solo per fare due esempi. Il punto è che queste realtà hanno deciso di non essere parti attive nelle competizioni elettorali. Non si tratta di partiti, ma di associazioni che promuovono il confronto tra i giovani e con le altre generazioni ed elaborano proposte riformatrici che “suggeriscono” ad altri di realizzare. Questo modo di agire costituisce allo stesso tempo la loro forza e il loro limite: noi crediamo che non sia più rinviabile il ritorno dei giovani in politica. Per farlo però abbiamo bisogno di collaborare proprio con chi in questi anni ha lavorato così bene e ha realizzato un patrimonio di idee che sarebbe un peccato non mettere a frutto. Se non vogliamo che la domanda che ci avete fatto diventi una scomoda verità, movimenti e associazioni giovanili devono unire le forze: il momento storico in cui viviamo è drammatico e ricco di incognite, ma proprio per questo noi giovani abbiamo il dovere di unirci e affrontare i problemi dell’Italia proiettandola nel futuro.

LSDP. Perché non provare a entrare in massa in un partito, magari sfruttando strumenti di democrazia diretta (primarie)?

Perché gli attuali partiti sono i primi responsabili dello stato di irrilevanza e di assenza di prospettiva in cui tutti noi under 40 ci troviamo. Siamo convinti che entrare in uno qualsiasi di essi vorrebbe dire legittimarli tutti, mentre la nostra condanna nei loro confronti non lascia spazio a differenziazioni di sorta. Tuttavia, pur confermando la volontà di restare fuori dai vecchi partiti, di recente abbiamo deciso, coerentemente con il nostro obiettivo di promuovere il ricambio generazionale a tutti i livelli politico-istituzionali, di lanciare la campagna “Sosteniamo Renzi ma non il Pd”. Nella pratica, questo si tradurrà nella creazione di un comitato pro-Renzi che si chiamerà “Adesso! Noi Giovani”. Riteniamo che il 37enne sindaco di Firenze in questo momento interpreti al meglio il bisogno di rinnovamento della politica che non solo noi giovani, ma tutti gli italiani sentono come urgente. Resta inteso il fatto che nessuno degli aderenti a Noi Giovani prenderà la tessera del Pd o di altri partiti. Allo stesso tempo, fra l’altro, proprio per la nostra caratteristica di movimento privo di qualsivoglia approccio ideologico, abbiamo avviato un dialogo con Zero+, Outsider e Fermare il declino e contiamo di farlo al più presto anche con Italia Futura.

LSDP. Né ideologia, né antipolitica: basta la questione generazionale per avere successo alle urne e per governare il paese?

Noi crediamo di sì. Certo non in ogni luogo e in ogni tempo, ma nell’Italia che andrà al voto nel 2013, sedotta e abbandonata dai vecchi partiti, sfiancata dal rigorismo austero e intransigente dei tecnici e frustrata dalla totale assenza di certezze per il futuro, il “partito dei giovani”, che da sempre rappresentano la speranza di ogni comunità, se saprà lavorare in modo intelligente potrà davvero essere il partito di tutti.

LSDP. Chi sono i giovani? Esiste un’identità comune?

Nel nostro statuto abbiamo necessariamente dovuto individuare i “giovani” attraverso un criterio anagrafico, indicandoli in coloro che sono sotto la soglia dei 40 anni. Tuttavia è evidente che quello non può e non deve essere l’unico discrimine. I giovani a cui noi facciamo riferimento sono coloro che affrontano gli impegni della vita di tutti i giorni con metodi innovativi, non necessariamente in senso “tecnologico”, ma anche semplicemente attraverso un approccio nuovo, creativo, intelligente e volto a semplificare mantenendo un elevato valore aggiunto.

Volendo tracciare un ritratto dei giovani del 2012, potremmo dire che siamo immediati, volitivi, tecnologici, creativi. E soprattutto onesti e competenti, a differenza dell’attuale classe politica. Allo stesso tempo però siamo disillusi e poco inclini alla speranza, che invece infervorava gli animi dei giovani dei decenni passati. Purtroppo il tratto comune è questo, la consapevolezza che lo studio non basta, il sapere non basta, il lavoro non basta, il proprio posto nel mondo è incerto. È vero che siamo figli di un’età comoda, che ci ha spinto verso l’individualismo delle scelte al punto da farci sembrare soli. Ma è su questo che vogliamo fare leva: utilizzare la disillusione come motore per accendere le idee e la partecipazione. Scovando nelle loro tane tutte le menti forzatamente assonnate. Anche il nostro metodo è cambiato: né isolate teste pensanti né pensieri collettivi, ma singole idee che discutono tra loro e con le altre generazioni. In poche parole, ci piace pensare di poter tornare a muoverci come tessere di un puzzle.

LSDP. Come è possibile coinvolgere la stragrande maggioranza di giovani che vivono al di fuori delle grandi città, usano il web solo per cazzeggiare su FB, sono disoccupati, lavorano in fabbrica, nelle aziende di pulizie o fanno i baristi?

Nessun partito o movimento, neanche il più aperto e innovativo, può pensare di coinvolgere attivamente tutti coloro che ne costituiscono la base elettorale. Ciò che è importante, in questa fase, è lanciare un messaggio, far capire ai nostri coetanei (dirigenti, manager, precari o disoccupati che siano) e ai ragazzi che ancora vanno a scuola e all’università che mentre il nostro presente di “generazione sfigata” è stato determinato in modo così irresponsabile dai nostri genitori e dai nostri nonni negli stessi anni in cui a casa ci viziavano e ci coccolavano (duole dirlo ma è così), il nostro futuro e quello delle generazioni a venire sono nelle nostre mani. Può sembrare assurdo, ma siamo convinti che questa presa di coscienza sia la parte più difficile del lavoro che ci aspetta. Fatto questo, il resto seguirà.

LSDP. Come è nato “Noi Giovani”?

Nel più banale dei modi: all’inizio eravamo solo un gruppo di amici che si lamentavano delle reciproche sventure lavorative e di non poter programmare neanche le vacanze estive, figurarsi la propria vita nell’arco di cinque o dieci anni. A un certo punto ci siamo detti che quelle esperienze negative potevano essere messe a frutto creando qualcosa che incidesse in maniera determinante anche sulle vite degli altri giovani come noi. Così è nato NG.

LSDP. Quali sono i prossimi passi?

Il primo obiettivo è quello di presentare liste alle regionali del Lazio e della Lombardia, alle comunali a Roma e in tutte le circoscrizioni per le politiche del 2013, quindi stiamo agendo su quattro fronti: campagna associativa, scrittura del programma, comunicazione e creazione di una “rete” e di un sistema di alleanze. A proposito di quest’ultimo punto, a ottobre abbiamo partecipato agli incontri organizzati a Roma da Outsider e Zero+ e da Fermare il declino, lanciando un appello alle altre realtà giovanili per unire le forze in vista della scadenza del 2013, che noi riteniamo di valenza strategica fondamentale per il futuro di quello che abbiamo chiamato il “partito dei giovani”, e stiamo lavorando a un nostro primo evento di presentazione ufficiale.

lunedì 15 ottobre 2012

Andiamo alle elezioni con le nostre facce e la gente ci voterà


L’appello di Noi Giovani alle altre realtà giovanili e a Giorgio Napolitano, per il “Partito dei Giovani” e contro l’innalzamento delle soglie di sbarramento (trascrizione del discorso tenuto da Carmelo Dragotta al congresso degli Outsider, sabato 13 Ottobre 2012).

Buonasera a tutti,
mi chiamo Carmelo Dragotta e oggi sono qui in rappresentanza di Noi Giovani, un movimento nato da pochi mesi, che sta elaborando proposte concrete con un focus su lavoro, diritti e innovazione, con un approccio orizzontale, aperto e collaborativo. In proposito vi invito a collaborare iscrivendovi al nostro gruppo Facebook per dare il vostro contributo.

Lavorando al programma siamo giunti alla conclusione che la condizione di totale precarietà dei giovani – non solo dal punto di vista lavorativo – derivi innanzitutto dalla mancanza di una loro partecipazione attiva alla vita politica e dalla loro scarsissima rappresentanza ad ogni livello istituzionale.
Per troppi anni noi giovani abbiamo delegato la rappresentanza dei nostri interessi a politici e governanti incapaci di interpretarli e di difenderli.
Proprio per questo, fin da subito a differenza di altri, non abbiamo avuto paura di tenerci lontani dalle realtà politiche già esistenti e legate a vecchie ideologie e abbiamo deciso di dare a Noi Giovani, fin dal suo concepimento, un orizzonte elettorale. Sappiamo che l’obiettivo di essere presenti alle elezioni non è solo ambizioso, ma può apparire anche velleitario; non ci nascondiamo le difficoltà sul fronte organizzativo e burocratico né su quello prettamente politico né su quello dei mezzi con cui affrontare la campagna elettorale, ma siamo convinti che oggi sia necessario per i giovani trovare il coraggio di portare avanti un’azione chiara e anche lucidamente folle, che li porti a impegnarsi in prima persona in maniera diretta e chiaramente riconoscibile per gli elettori.

E’ ora che noi giovani la smettiamo di fare i portatori d’acqua ai mulini altrui e ci affranchiamo da padri nobili e padrini.
Dobbiamo trovare il coraggio di dire che siamo diversi, che siamo onesti, che siamo preparati, che non abbiamo complessi di inferiorità nei confronti di nessuno anche perché in effetti non siamo inferiori a nessuno. Anzi.
Noi giovani dobbiamo andare in mezzo alla gente a prendere i voti che la gente non vuole più dare non alla politica, ma ai vecchi politici e anche ai politici vecchi.
Siamo convinti che sia ora che tutti i movimenti, le associazioni, i centri di ricerca, i think tank e le lobby giovanili, a prescindere dalle divisioni ideologiche, la smettano di dibattere al proprio interno sulle soluzioni ai problemi della nostra generazione solo per svenderle ai “potenti” di turno che alla fine, come sempre, presenteranno alle elezioni liste formate per il 99% da candidati sopra i 40 anni.
Oggi, in Italia, noi giovani abbiamo la grande opportunità di presentarci alle elezioni con le nostre facce, con le nostre competenze e con la nostra energia e siamo certi che in tanti stiano aspettando proprio questo per tornare a votare con fiducia per qualcuno.
Per questo oggi siamo venuti qui a proporre a Zero Positivo, agli Outsider, a Rena, a Italiacamp e a tutte le realtà giovanili di unire le nostre forze e di cominciare a lavorare a un progetto davvero ambizioso, quello di dare agli italiani la possibilità di scegliere i giovani sulla scheda elettorale.
Ovviamente non vogliamo mettere in piedi un progetto suicida.
Ci rendiamo conto che in ogni caso la “lista dei giovani” non potrà presentarsi da sola alle elezioni, pena il fallimento. Sappiamo che sarà necessario stringere delle alleanze. Ma proprio perché il quadro politico è ancora estremamente fluido e proprio perché le prossime elezioni rappresentano per noi giovani una occasione di portata storica che non possiamo permetterci di perdere, siamo convinti che sia necessario abbandonare da subito ogni indugio e mettersi a lavorare insieme, come Zero Positivo e Outsider hanno già fatto nell'organizzazione di questo evento.

La prima azione da fare in questo senso è un’azione mediatica che smascheri tutte le ambiguità della riforma elettorale in discussione. E’ una bozza che gli attuali partiti sono d’accordo nell’approvare solo per spirito di autoconservazione. La cosa più evidente per chi si sta impegnando in questi mesi per presentare una proposta politica alternativa è l’innalzamento della soglia di sbarramento. E’ palese che solo chi abbia già un leader dotato di grande visibilità sul piano nazionale potrà ambire a superare le nuove soglie. Ed è proprio questo che gli attuali partiti vogliono: restringere all’osso le possibilità che le realtà fuori dal coro come le nostre entrino in campo direttamente.
Dobbiamo quindi mobilitarci insieme per una prima importante battaglia, quella contro le soglie di sbarramento della nuova legge elettorale che precluderebbero ai giovani l’accesso diretto alle istituzioni, di cui non solo i giovani ma tutto il Paese ha bisogno. Già venerdì Giorgio Napolitano è intervenuto per fissare alcuni paletti sulla bozza in discussione al Senato. Crediamo che sarebbe opportuno rivolgerci a lui, a un grande vecchio della storia d’Italia, per chiedergli di farsi garante della nostra possibilità di essere protagonisti. Vogliamo avere anche noi l’opportunità di ricostruire l’Italia come loro hanno fatto dopo la guerra.

Vorrei lasciarvi a questo punto con una frase che, al di là della storia politica di chi l’ha pronunciata, Enrico Berlinguer, oggi più che mai dev’essere per noi fonte di ispirazione: “La prima, essenziale, semplice verità che va ricordata a tutti i giovani è che se la politica non la faranno loro, essa rimarrà appannaggio degli altri, mentre sono loro, i giovani, che hanno l'interesse fondamentale a costruire il proprio futuro e innanzitutto a garantire che un futuro vi sia”.

Grazie.


venerdì 12 ottobre 2012

Viva l'Europa!

Il Nobel per la Pace 2012 all'Unione Europea.


E' una notizia che deve renderci fieri della nostra Unione Europea, che deve rammentarci che siamo, prima di tutto, cittadini europei, e che deve spronare Noi Giovani a lavorare affinché l'idea di un'unica casa europea si affermi su qualsiasi tentazione nazionalista. 

Il comunicato ufficiale con le motivazioni del Nobel alla UE:

Il Comitato norvegese dei Nobel ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2012 all’Unione Europea (UE). L’Unione e i suoi leader hanno contribuito in oltre sessant’anni ai progressi nella pace e nella riconciliazione, nella democrazia e nei diritti umani in Europa.
Negli anni della guerra, il Comitato norvegese dei Nobel consegnò diversi premi alle persone che si erano impegnate nel cercare di far riconciliare Francia e Germania. A partire dal 1945, quella riconciliazione è diventata realtà. La terribile sofferenza nella Seconda guerra mondiale ha dimostrato la necessità di una nuova Europa. Oltre un periodo di settant’anni, Germania e Francia hanno combattuto tre guerre. Oggi una guerra tra Germania e Francia è impensabile. Questo dimostra come nemici storici possano diventare partner molto stretti, attraverso sforzi condivisi per creare reciproche complicità.
Negli anni Ottanta, la Grecia, la Spagna e il Portogallo si sono uniti alla UE. L’introduzione della democrazia fu una condizione necessaria per il loro ingresso. La caduta del muro di Berlino ha reso possibile l’ingresso nella UE di altri paesi dell’Europa centrale e orientale, aprendo una nuova era nella storia europea. La divisione tra Est e Ovest è arrivata dopo grandi sforzi a una fine; la democrazia si è rafforzata; molti conflitti etnici sono stati risolti.
L’ammissione della Croazia come nuovo membro il prossimo anno, l’apertura dei negoziati con il Montenegro, e la Serbia come membro candidato all’ingresso, sono fattori che rafforzano il processo di riconciliazione nei Balcani. Nell’ultimo decennio, la possibilità di includere nella UE anche la Turchia ha portato a progressi nella democrazia e nel rispetto dei diritti umani in quel paese.
L’UE sta affrontando grandi difficoltà economiche e un forte malcontento. Il Comitato norvegese dei Nobel desidera concentrarsi su ciò che reputa il più importante risultato raggiunto dalla UE: il successo derivante dallo sforzo per tutelare la pace, la riconciliazione, la democrazia e i diritti umani. Il ruolo di stabilizzatore svolto dalla UE ha contribuito a trasformare in buona parte l’Europa, da un continente di guerra a uno di pace.
Il lavoro della UE rappresenta la “fratellanza tra le nazioni”, ed equivale ai “progressi di pace” cui Alfred Nobel fa riferimento nel proprio testamento del 1895 per il Premio per la pace.

giovedì 27 settembre 2012

Aumentare la produttività e salvare le foreste? Muovendosi Agile!

di Stefano Marangoni


Spesso negli ultimi tempi abbiamo sentito dire che il PIL italiano va a picco. Altrettanto spesso ci sono state proposte soluzioni perlomeno discutibili, come ad esempio la riduzione delle festività: se c’è poco lavoro, a cosa serve essere alla propria scrivania a Ferragosto?
Il problema vero è casomai la scarsa produttività italiana, dovuta da una parte ad inefficienze, dall’altra a scarso stimolo dei dipendenti. Chiunque abbia lavorato in una Pubblica Amministrazione o in una grande azienda sa che si passa la maggior parte del proprio tempo a compilare documentazione, preparare report, chiedere autorizzazioni, lasciando alle attività tipiche della propria professione uno spazio residuale. È un problema non solo italiano, sia chiaro: l’enorme mole di documentazione richiesta in un progetto di una grande azienda o di una grande amministrazione pubblica è una caratteristica comune a tutte le società industriali avanzate. Nel nostro Paese però questa tendenza universale si associa ad una propensione tutta italica alle procedure barocche, che rende ancora più evidente (e paralizzante) il problema.
Come venirne fuori? Smettendola di pensare alle industrie come se fossero ancora quelle di 40 anni fa. E’ compito di Noi Giovani introdurre nuove metodologie lavorative, figlie dei nostri tempi.
In uno dei settori industriali più giovani, quello del software, questo problema è già stato affrontato. Era il 2001 ed un gruppo di guru dell’informatica si riunirono e scrissero quello che è passato alla Storia come Manifesto Agile [1]:
Stiamo scoprendo modi migliori di creare software,
sviluppandolo e aiutando gli altri a fare lo stesso.
Grazie a questa attività siamo arrivati a considerare importanti:
Gli individui e le interazioni più che i processi e gli strumenti
Il software funzionante più che la documentazione esaustiva
La collaborazione col cliente più che la negoziazione dei contratti
Rispondere al cambiamento più che seguire un piano
Ovvero, fermo restando il valore delle voci a destra,
consideriamo più importanti le voci a sinistra.
Da questo Manifesto sono state sviluppate diverse metodologie operative per lo sviluppo software, che una volta applicate hanno consentito una riduzione drastica dei tempi di consegna del software, oltre ad una maggiore soddisfazione del cliente.
Queste metodologie sono però pensate per il mondo dell’industria del Software e non possono essere prese ed utilizzate così come sono anche in altri ambiti. Questa obiezione, facile ed immediata, è alla base del lavoro di vari gruppi nel mondo per esportare queste metodologie in altri campi. Tra questi, il più importante ed interessante è sicuramente il gruppo di Wikispeed [2], guidato da Joe Justice.
È bene presentare il progetto Wikispeed con le parole usate dallo stesso Joe Justice in un’intervista al blogger italiano Simone Cicero [3]:
Wikispeed costruisce autovetture ultra efficienti e lo fa con cicli di sviluppo di sette giorni utilizzando metodologie Agili.
La manifattura tradizionale vive di cicli di sviluppo prodotto che vanno da 3 a 25 anni: questo significa che si può andare ad un concessionario Porsche e comprare una nuova Porsche 911, un auto che rappresenta il meglio che gli ingegneri Porsche ritenevano possibile 24 anni fa e, se continuiamo su questo esempio, Porsche ha recentemente annunciato che l’attuale Porsche 911 starà con noi per i prossimi 14 anni.
In Wikispeed puntiamo alla personalizzazione di massa, a uno sviluppo molto rapido e a tecnologie ed efficienze che non sono ancora esistenti, che sono pienamente gamechanging e non solo una evoluzione incrementale di tecnologie vecchie e talvolta già defunte.
Per fare questo dobbiamo iterare i cicli di sviluppo su sette giorni, che significa che possiamo cambiare ogni aspetto della vettura ogni sette giorni. Ciò è possibile attraverso la modularità: l’auto si divide in otto moduli che sono debolmente accoppiati in modo che si possa cambiare uno e non cambiare gli altri.
Wikispeed ha come missione quello di risolvere rapidamente i problemi per il bene sociale. Non ci limitiamo alle automobili: di recente ho tenuto una conferenza sui metodi per la distribuzione del vaccino per l’eradicazione della Polio; abbiamo lavorato con un gruppo di medici che sviluppa i centri per l’assistenza a basso costo e le comunità che possono alimentarli e su questo progetto abbiamo fatto un notevole lavoro con loro.

Il team Wikispeed, per sviluppare le proprie auto modulari, ha elaborato una evoluzione di una delle metodologie Agile ( la XP, Extreme Programming) e l’ha chiamata Extreme Manufacturing, XM.
Riprendendo un altro estratto dall’intervista di Simone a Joe Justice:

XM è la metodologia per consentire alle altre imprese di fare questo cambiamento alla stessa velocità di Wikispeed. XM è una metodologia agile: ci vogliono le migliori metodologie applicate dalle migliori squadre di svilippo software, estrapolate per renderle applicabili a tutti i settori.
In particolare stiamo applicando questi metodi alla ricerca e sviluppo, alla produzione fisica o all’ingegneria e pensiamo che una tale processo possa essere utilizzato anche per la finanza, le assicurazioni, l’energia, la legge, la gestione della comunità, l’edilizia residenziale e commerciale e anche altre imprese.
XM adotta tutte le best practice per la gestione dei team distribuiti, i principi dell’ingegneria e del design frugali e le applica al mondo fisico della manifattura.
Chiedere ad una Pubblica Amministrazione di uno Stato come l’Italia, o ad un grande gruppo industriale come Finmeccanica, di adottare delle metodologie che sono ancora in prima evoluzione è chiaramente una follia. Sarebbe bello però che un ministro si occupasse del tema della crescita del PIL affrontando di petto la scarsa produttività italiana con soluzioni innovative. Si potrebbero scegliere dei progetti pilota, in cui l’intera catena produttiva è sotto controllo dello Stato (ad esempio, la costruzione di un treno per Trenitalia commissionata ad Ansaldo Breda, gruppo Finmeccanica, in cui i sottosistemi del treno in questione vengono prodotti da altre società del gruppo Finmeccanica) e avviare su questi progetti una sperimentazione di nuovi metodi di lavoro, basati sul Manifesto Agile e sulle metodologie derivate da questo.  Gli aspetti che meglio funzionano in questi progetti, potrebbero poi essere adottati su larga scala in tutto il gruppo Finmeccanica, lasciando i metodi ancora da rodare ai progetti pilota. Poi si potrebbe passare da Finmeccanica alla Pubblica Amministrazione, portando anche in questa realtà le soluzioni meglio riuscite e già sperimentate. Così facendo, in un paio di anni potremmo passare dall’essere un Paese a scarsa produttività ad essere un esempio e un avanguardia per tutto il mondo.
Per chi non lo sapesse, Joe Justice sarà a Roma il 29 Settembre per parlare di Wikispeed e di metodologie Agili. Una delegazione di Noi Giovani (guidata dal sottoscritto) sarà presente. Secondo voi ci saranno altri movimenti politici?